RIFLESSIONI

Introduzione

 

L’idea nasce dalla contemplazione e il desiderio di muoversi liberamente sulla superficie salmastra al di là dell’Isola della Giudecca. Ci troviamo a Venezia.
O meglio “dietro”, alle spalle della Giudecca; denominato “dietro” poiché è uno scenario per lo più ignoto allo sguardo della Venezia turistica, formicolio di folle tenute a debita distanza dal Canale omonimo all’isola.Da San Basilio, passando per la Fondamenta delle Zattere e degli Incurabili fino al termine di Punta della Dogana, lo sguardo rivolto a sud si interrompe sulla sagoma bidimensionale degli intonaci colorati in penombra della Giudecca. Alla vista di tutti, Venezia regala un’ingannevole epilogo del suo fondale teatrale.
Vivo da tre anni “dietro” il pop-up di tetti isolani e posso dire sia proprio questa la parola chiave,la mia personale sineddoche che ha dato vita all’esigenza di iniziare a remare dentro un’imbarcazione gonfiabile verso ciò che c’è oltre la mia Venezia, oltre il mio fondale.
Più oggettivamente parlando quel primo giorno mi diressi verso l’isola di San Servolo dove vi è situata la mia facoltà universitaria.Stabilii la mia rotta personale in linea d’ aria, attraverso le acque della laguna divenute così per me fluido legante.Ho iniziato successivamente a catalogare e creare itinerari interessati ad un tipo di esperienza inaccessibile e ad una Venezia nascosta ma soprattutto dimenticata dall’immaginario insulare e purtroppo forse presto cancellata da quello topografico a causa dell’allarmante cambiamento climatico.

“Il metodo crea l’opera” (1)

Questo progetto site-specific ha l’intenzione di ridisegnare un nuovo rapporto tra l’operazione e il contesto nel quale questa viene sviluppata e vissuta.
Ho cercato di ridefinire il mio ruolo e dare corpo fisico alla mia riflessione attraverso una forma estetica che ne incarna al meglio la radicalità.
“L’operazione artistica nel suo contesto, potrà acquisire autonomia e significato, trasformandosi in un “organismo attivo” in grado di adattarsi, modificarsi e contemporaneamente modificare lo spazio sociale e il paesaggio nel quale è inserita”(1).
Desidero che  l’operazione sia anche punto di incontro con la “comunità veneziana” al fine di far diventare il mio lavoro  parte integrante del contesto lagunare, ben accetto dagli stessi abitanti della Laguna nella maggior parte primi nell’apprezzare e venerare di lei il dono di meraviglioso habitat.
Desidero che Linee d’Acqua sia anche la voce di questa comunità, a me tanto cara, che come la laguna sta pian piano sbiadendo. L’intento è quello di generare una narrazione di consapevolezza che non diventi mai fiaba o leggenda da dimenticare o rimpiangere.Il “metodo” si configura come una dichiarazione di precise intenzioni pianificate con una cornice non indifferente:
  • l’opera ha impatto fisico e ambientale minimo,
  • riutilizza l’architettura, le infrastrutture già esistenti
  • si serve della conformazione fisica naturale della laguna.

 

Il metodo dell’operazione si propone come azione anonima, come sistema di rivelazione verso il pubblico e rilevazione pura del paesaggio.
Il lavoro dell’artista sembra essere solo quello di un editor, un regista di realtà in grado di coordinare, scegliere, sottilmente convincere(1)
L’ elaborarazione di un linguaggio che traduca l’esperienza attraverso il paesaggio ha partorito una raccolta dati che funge da manuale, da copione per l’operazione stessa.
Questo lavoro è concepito come un’operazione artistica sull’approccio che invito ad assumere nello spazio come una forma di narrazione ai limiti della visibilità che s’infila nel contesto urbano e naturale e contemporaneamente dal contesto è generata, toccando intimamente i  fruitori nella loro sensibilità. (1)

 

La scelta del “viaggio” si affianca alla produzione del sopracitato VADEMECUM, generoso dono e invito ricco di premura che affiancherà la persona nell’impresa rispondendo alle sue necessità e alle necessità e accortezze che comporta il viaggio, oso dire di qualunque forma esso si tratti.

 

“Non esiste buono o cattivo tempo, ma solo buono o cattivo equipaggiamento.”
Robert Baden-Powell
Il mio desiderio è quello di creare un profondo legame con lo spettatore, con qualsiasi interlocutore, relazione che parte dalla comprensione e fruizione dell’operazione e l’uso delle esplicite istruzioni per la sua buona riuscita.Questa scelta estremamente generosa, che permette di comprendere il messaggio, ma soprattutto l’invito all’esperienza, mette in gioco il fruitore in maniera diretta: la sua esperienza e il mio manuale, è questione di fiducia. Questo aspetto genera uno scambio tra le parti coinvolte, come in una storia d’amore si dà e si riceve, si riceve e si dà, ci si arricchisce. Il visitatore diventa soggetto attivo, portatore di una visione e di una sensibilità che concorrono a dare senso all’opera poiché vissute con estrema attenzione e partecipazione.
(1) In questo paragrafo vi sono citazioni e riferimenti dell’artista Alberto Garutti, in cui mi sono ritrovata pienamente in sintonia, riferimenti alla voce (1) (2)

 


Il cambiamento climatico e Venezia

 

C’è un aspetto che non posso non nominare che coinvolge tutti noi, l’umanità nel suo complesso, non solo la Laguna di Venezia e i suoi abitanti: il cambiamento climatico.
Il cambiamento climatico sta alla Laguna di Venezia come la “perdita” sta al “senso di artisticità”(1) il quale genera “per reazione, un’idea etica di ricostruzione”. Sono convinta che la tematica che ogni artista o persona a me coetanea debba avere a cuore è proprio il cambiamento climatico.
Campanello d’allarme premonitore e di sensibilizzazione dovrebbe essere almeno in parte il messaggio di ogni operazione artistica di artisti influenti del nostro tempo.
L’intervento artistico come azione può diventare così linfa vitale e ristrutturazione di luoghi della memoria, di luoghi fragili e soprattutto tutela dell’ambiente naturale.
Non voglio far virare il mio progetto verso la battagliapolitica, ma voglio solo dare voce al monito che circonda velatamente la mia operazione che non sarà fruibile in eterno.
La Laguna di Venezia e la città stessa non sono protette da un santuario o da un museo. E’ questo il prezzo da pagare per un’esperienza di tale bellezza non tutelata da una galleria?
E’ questo il motivo di una scia amara lasciata dal mio lavoro.
La perdita è in questo caso dettata dalle nostre scelte.
Cambiare radicalmente il processo produttivo e di gestione delle risorse, operando una transizione verso risorse rinnovabili e bilancio di emissioni zero. Si può fare.(4)

 


Indagini artistiche per riflettere

 

Alberto Garutti (1)
“Ai Nati Oggi” Bergamo 1998-2012
“Piccolo Museion” Bolzano 2001
“Temporali” Roma 2009
“Quest’opera è dedicata alle ragazze e ai ragazzi che in questo piccolo teatro si innamorarono” Peccioli 1994
Rirkrit Tiravanija
• “No Vitrines, No Museums, No Artists. Just A Lot of People” Venezia 18-23 maggio 2004
Richard Long
• “A Line Made By Walking” Inghilterra 1967
• “The Well Dialog” con Jivya Soma Mashe, Düsseldorf 2003
Hamish Fulton
“A Decision To Chose Only Walking” Svizzera 2016
“Slowalk, In Support of Ai Weiwei” Londra 2011
Giuliano Mauri
• “Arte Sella” Borgo Valsugana 2001
Andreco
• “Climate 04 Sea Level Rise” Venezia 2015
Niki De Saint Phalle
• “Il Giardino Dei Tarocchi” Capalbio 1998
Bars Jan Ader
Visione romantica, meta e scopo del viaggio
Christian Boltanski
• “Chance”Venezia 2011
Carsten Höller
• “The Unilever Series” Londra 2006
Pierre Huyghe
• “A Journey that wasn’t”Antartide 2005
The Play
• “The Play Have a House” 1972/2015 Osaka, collettiva in viaggio, spazi aperti, arte e vita non distinti
Félix González-Torres
• “Untitled” New York 1991
Tomás Saraceno
• “On Space Time Foam” Milano 2012
Janet Cardiff
• “Alter Bahnof Video Walk” Kassel 2012
Alighiero Boetti
• “Mappe” 1971, Arte Relazionale
Joseph Beuys
• “7000 Eichen – Stadtverwaldung statt Stadtverwaltung” Kassel 1982

 

Citerò le modalità di agire rivoluzionarie di alcuni artisti contemporanei che rispondono a questa domanda:
“C’è ancora dell’arte che riesce a toccare l’anima?”
Alberto Garutti
Alberto Garutti ne è il porta bandiera, è un suo interrogativo, infatti egli esprime il desiderio di creare un profondo legame con lo spettatore,
relazione che parte dalla comprensione dell’opera, possibile grazie a titoli-didascalie, esplicite spiegazioni del senso che non permettono di nascondere l’eventuale vacuità del messaggio e mette in gioco l’artista in maniera diretta.
Questo rapporto paritario tra artista e fruitore, permette di amplificare esponenzialmente la percezione del lavoro di Garutti, che per farsi sentire non deve essere provocatorio o giocare su opere di dimensioni smisurate.
Rirkrit Tiravanija è forse l’artista che più di ogni altro incarna l’Utopia dell’arte.
Duchamp diceva che la vera arte non sta nei musei. Passeggiare, fumare un sigaro, giocare a scacchi sono i veri capolavori. Rirkrit ne è così convinto che sogna di trascinare la vita dentro al museo, non il museo dentro alla vita.
L’arte è esperienza e Rirkrit dell’esperienza ha fatto la sua arte.
La storia dell’arte è fatta anche di eroiche e fondamentali cesure.
Duchamp e Manzoni ne sono due esempi.Tiravanija un altro.(3)
La disponibilità dell’artista a progettare un’ inedita forma di interazione con i partecipanti crea un’esperienza capace di oltrepassare le forme di contemplazione passiva, nelle quali, spesso, veniamo relegati come spettatori.
Lo spettatore verso il ruolo del partecipante co-autore capovolge la visione della performance.
Umberto Eco scrive nel 1962:
“Nell’opera in movimento il negare che vi sia una sola esperienza privilegiata non implica il caos delle relazioni, ma la regola che permette l’organizzarsi delle relazioni”
 Umberto Eco
La svolta performativa o performative turn ha apportato una nuova idea di rapporto fra performer e spettatore e, più in generale, di lavoro artistico.
L’opera aperta, processuale, e il performative turn hanno sotto certi aspetti superato e amplificato le peculiarità della Net Art e del Post-Internet preparando il terreno all’arte relazionale.
Niki De Saint Phalle e Giuliano Mauri sono stati per me fonte di esperienze dal carattere innovativo, di scoperta e di amore per il territorio, per lo spazio aperto.
Con i loro parchi immersi nella natura, l’uno a Capalbio nella profonda e arsa campagna toscana, l’altro tra le montagne del Trentino-Alto Adige, a Borgo Valsugana trasmettono l’attenzione e la cura di un paesaggio intatto, di un intervento autentico di condivisione, di uno spazio aperto in cui uomo e arte si legano, si rispettano e si amano.
Infine, ma non meno importante, è l’influenza di Hamish Fulton e dei suoi lavori che hanno avuto la funzione di filo rosso, ricerca di espressione ed autenticità dell’esperienza. I suoi risultati sono stati quindi guida nei meandri dell’arte e negli interrogativi sul mio operato, fondamentali perché senza di essi la mia operazione non avrebbe preso il volo, o meglio, il largo.

 

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